LA SCRITTURA MUSICALE

La scrittura Neumatica

La scrittura musica nasce molto tempo dopo rispetto alla pratica musicale.

La Chiesa considerava importante trovare una notazione comune a tutti i cristiani affinché la musica fosse riprodotta ovunque allo stesso modo.

Con la nascita del repertorio gregoriano si sviluppa una prima forma di scrittura che prevede l’uso di segni, detti neumi, che indicavano ai cantori l’andamento della melodia (verso l’acuto o verso il grave). Chiaramente per comprendere questo sistema era comunque necessario conoscere a memoria il canto, i neumi servivano quindi a facilitare i cantori ma non risolvevano il problema della memorizzazione di tutto il repertorio dei canti gregoriani

Con il passare del tempo questi segni divennero sempre più precisi permettendo di scrivere e leggere l’altezza dei suoni.

GUIDO D’AREZZO

Una delle figure che contribuì maggiormente al perfezionamento e alla diffusione delle scrittura musicale fu il monaco benedettino Guido D’Arezzo, il quale portò all’adozione del tetragramma (formato da quattro linee). Posizionando le note su di esso fu possibile per i monaci leggere con precisione l’altezza dei suoni senza dover imparare a memoria tutte le melodie dei canti liturgici.

A lui si deve anche l’attribuzione dei nomi delle note che utilizziamo ancora oggi: UT (DO) - RE - MI - FA - SOL - LA - SI (S-J), ricavate dalle prime sillabe di un Inno dedicato a San Giovanni Battista. In questo modo era molto più semplice memorizzare l’altezza dei suoni.

MUSICA MENSURALE

Grazie allo sviluppo della polifonia, nasce l’esigenza di determinare con precisione anche la durata delle note. Per favorire la sovrapposizione delle varie voci è necessario che ogni cantore sappia esattamente quando cambiare nota.

In questo periodo vengono quindi impiegati dei simboli che rappresentano graficamente durate diverse: maxima, longa, brevis, semi-brevis.

In questo modo, nel corso del Duecento la scrittura musicale comincia ad assomigliare a quella utilizzata ancora oggi.

LA POLIFONIA

Nel corso del X secolo si affermò l’usanza di arricchire i canti gregoriani con una seconda melodia eseguita da un altro gruppo di cantori.

La polifonia (parola che in greco significa “tanti suoni”) è la tecnica che permette di eseguire due o più melodie contemporaneamente. Un brano si dice polifonico quando 2,3,4 o più persone cantano insieme melodie diverse che stanno bene insieme.

Le due melodie venivano scritte entrambe sul pentagramma e le loro note erano poste una sull’altra, questo particolare modo di impostare la nuova scrittura delle varie voci prese il nome di contrappunto (punto contro punto).

Alcune delle prime forme polifoniche vengono sviluppate a partire dal XII secolo in Francia presso la cattedrale di Notre-Dame a Parigi.

La forma più antica di polifonia è chiamata organum e prevede la presenza di due voci: La vox principalis e la vox organalis. Possiamo notare altre forme di polifonia come l’organum parallelo (nel quale le voci intonano la melodia a diverse altezze) e il Canone (quando le voci intonano la stessa melodia in momenti diversi).

Il progressivo sviluppo della scrittura musicale, e dei simboli che determinano la durata dei suoni, è molto importante, tanto che la musica composta secondo i criteri della polifonia e in modo misurato viene definita con l’espressione Ars Nova, che significa “arte nuova” in rapporto all’arte antica.

I brani polifonici della fine del Medioevo sono sicuramente più complessi e dal ritmo più preciso sia nella musica sacra che in quella profana.